Milano: la rigenerazione umana
Inizia a scricchiolare la narrazione della città delle opportunità e alla fine, fra stipendi al limite della soglia di sopravvivenza e corruzione, ecco perché a Milano, "di lavoro non ce n'è".
Sì, ma qui che l'amore si fa in tre, che lavoro non ce n'è
L'avvenire è un buco nero in fondo al tramEnzo Jannacci, “Io e te”
I miei più “assidui follower” conoscono il mio amore viscerale per Milano e forse adesso è finalmente arrivato il momento di parlarci a cuore aperto.
Io non ho nulla contro Milano (giuro), ma per il mestiere che faccio la narrazione della Città delle opportunità va di pari passo a quella del pesce più fresco d’Italia se è vero che ormai da diversi anni ricevo settimanalmente decine di CV di manager Milanesi che non lavorano, a volte anche da 2 anni.
Milano: sostenibilità e qualità della vita
Credo che non valga spendere più di due righe per ricordare che gli stipendi di Milano sono allineati a quelli di una qualsiasi altra città molto meno pubblicizzata e meno autoriferita, in cui però non c’è un costo della vita così sproporzionato, una così evidente inaccessibilità ai diritti di base (le case in primis, ma anche la Sanità sappiamo bene in che acque navighi grazie alla brillante opera di Formigoni che ha trovato nei suoi successori una continuità politica senza precedenti), un’attenzione alla sostenibilità (aria, verde, spazi) solo propagandata.
Nonostante città come Bologna si stiano allineando al trend.
Rimane però il fatto che “vivere in periferia a Bologna” non è la stessa cosa che “vivere in periferia a Milano”. Non lo sono le distanze, non lo sono i disservizi (Trenord è ormai l’incubo quotidiano di qualsiasi pendolare e oggi Milano si può considerare a tutti gli effetti una città di pendolari), non lo è l’ invivibilità e la criminalità. Non lo è la solidarietà di vicinato se è vero che a Milano il Comune ha attivato un servizio per seppellire Persone che muoiono sole, spesso senza che nemmeno i vicini se ne accorgano.
A chi sta già storcendo la bocca perché gli sto toccando “il mito”, dico solo che le esperienze personali non fanno statistica e che certamente c’è chi a Milano ci vive bene. Ci mancherebbe.
Ma i numeri parlano chiaro e ne parla molto chiaramente addirittura uno dei giornali storici cittadini.
Ma non è di pesce che volevo parlare o forse si; magari di quello che puzza dalla testa.
Si può ancora parlare di “capitale morale dell’economia”?
La reputazione di “capitale morale”, è figlia di tempi che non ci sono più. E senza scomodare Tangentopoli che è servita se non altro a smontare la retorica che fa bene solo ad alcuni in cui il Sud fa politica e il Nord fa business, sono bastati due recenti avvenimenti per confermare quanto il business a Milano sia inevitabilmente legato alla politica e spesso anche alla criminalità organizzata.
Expo è stato il tentativo di riportare alla ribalta il concetto di città europea, punto di riferimento di valore (qualcuno ancora si ricorda il claim di Expo? Era “Nutrire il pianeta, energia per la vita”; un tema valoriale talmente stuprato e incoerente (fosse solo per l’esclusione delle vere eccellenze produttive a favore delle multinazionali e le centinaia di terreni agricoli sequestrati per creare bretelle e strisce di cemento) che le Organizzazioni Internazionali si sono sfilate nelle prime settimane.
Fra gare andate deserte, e affidamenti politici senza bando (Farinetti in testa), i risultati economici e l’impatto generato in città non sono più discutibili perchè i numeri sono pubblici nonostante il tentativo di nasconderli, alla stregua dei commissariamenti e delle decine di inchieste che hanno portato in galera due terzi del Board di Expo, lasciando illeso Sala per un pelo. Expo Milano è stato paragonato al flop dell’Expo di Amsterdam da tutti i giornali internazionali tranne quelli italiani che hanno goduto di iniezioni constanti di pubblicità da parte di tutte le aziende presenti a Expo.
L’altro evento dirompente è stata la pandemia: una gestione disastrosa guidata in primis dall’assessore Gallera e dal Presidente Fontana, che nella solita logica che vorrebbe Milano uno Stato a parte con leggi proprie si sono addirittura assegnati un Commissario straordinario personalizzato. Una gestione figlia di una cultura del “business a qualsiasi costo”, anche a costo della vita umana. #Milanononsiferma, la negazione delle zone rosse, ospedali fantasma costruiti in fretta e furia sono un capitolo di storia da dimenticare, ma che dovrebbero essere sufficienti per mettere in discussione la reputazione della città e dei suoi governanti.
Beppe Sala: la faccia come il business.
Bisogna rendere merito a Sala che in quanto a senso di appartenenza è davvero straordinario: non c’è progetto o programma che preveda anche solo due spiccioli che il Sindacone non provi a metterseli in tasca (e a metterlo in quel posto a tutte le altre Regioni). Il colmo è stata la richiesta della gestione dei fondi del Reddito di Cittadinanza “perché Milano li saprebbe gestire meglio di chiunque altro”.
Infatti, anche in questo caso Milano è riuscita a battere il Sud in quanto a peggior impiego dei fondi del Reddito. In compenso, è salito il tasso di povertà assoluta e i motivi sono evidenti: la città come la vuole Sala è una città che attrae investitori e speculatori ma allontana il cittadino medio che in quella città ci è nato, ci è cresciuto, ci lavora, ci paga le tasse.
Milano Cortina e SalvaMilano: nessun valore per i cittadini. Sono solo business per la politica e le società di consulenza.
E mentre si cerca alla meno peggio di nascondere le magagne con cui Milano si è aggiudicata le Olimpiadi Invernali (mentendo su garanzie di sostenibilità e riutilizzo di strutture esistenti che si sono rivelate inutilizzabili al punto tale da far lievitare i costi in maniera spropositata) e i soliti inciuci in cui si esclude chi vince le gare pubbliche (al ribasso) per i servizi avendone titoli e competenze e si agevolano (al rialzo) gli amici degli amici e i soliti noti (a questo proposito c’è un’inchiesta al vaglio della Procura di Milano che ha coinvolto Deloitte di cui si è parlato pochissimo), l’ultimo scandalo di queste ore riguarda il tentativo di bypassare ancora una volta le leggi da cui la politica milanese si ritiene tanto per cambiare, al di sopra.
Che i Romani si sa, ai Milanesi gli stanno sul cazzo, ma quando si tratta di adottare lo stile del Marchese del Grillo, diventano veri punti di riferimento.
Come spiega
:A Milano si abbattevano capannoni di due piani e si costruivano torri di 23 e 16 piani, senza autorizzazioni, soltanto con mere comunicazioni, con una Scia. La legge nazionale lo impedisce ma a Milano - sostevano tutti gli esponenti del sistema e il sindaco Sala fino all’altro giorno - non vale la legge, prevale un’altra interpretazione. Perché soltanto a Milano? Lo spiega Marco Daniele Engel presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica della Lombardia, intercettato: “E’ solo Milano che si sente forte abbastanza da dire chi se ne fotte”.
E così il sindaco Sala, che non credo prenderà mai una laura honoris causa in comunicazione, con la connivenza di archistar, palazzinari, ma soprattutto di funzionari ben addestrati all’interno dell’Amministrazione Milanese, abituati ad ottenere favori politici grazie alle rendite che solo Milano è capace di offrire, si è inventato il concetto di “rigenerazione urbana” che tradotto in qualsiasi sede giudiziaria starebbe per “abuso edilizio”. E per compierlo a mani libere, dalla scorsa estate c’è una legge chiamata Salva Milano (e anche qui, il buon Sala ha dato il meglio del suo lato di copywriter per regalarci una perla per la quale basterebbe staccare le due parole in maniera diversa per ottenere un risultato ancor più veritiero) che giace in Senato in attesa di delibera.
Delibera che probabilmente non avverrà più in seguito all’arresto di Giovanni Oggioni, ex dirigente del Comune dal curriculum perfetto: era stato direttore dello Sportello unico per l’edilizia del Comune e dalla pensione passa con balzo felino alla vice presidenza della Commissione per paesaggio e contemporaneamente anche segretario dell’Ordine degli Architetti, oltre che consulente dell’associazione di imprese Assimpredil che sottopone i suoi progetti al Comune. A sua volta la figlia è stata assunta da una delle aziende impegnate nei progetti immobiliari per i quali serviva il via libera del Comune.
Per qualcuno Milano è davvero la Città delle Opportunità, al punto tale da riuscire - da pensionato - a svolgere i lavori di tre Persone diverse e tutti estremamente remunerativi. Per buona pace degli over 50 che sono finiti per integrare le fila di extracomunitari e disperati che in città si barcamenano consegnando cene a domicilio.
Nel frattempo, il sindaco Sala scende in corsa un attimo prima del disastro, sconfessando tutto e chiamandosi fuori, con lo stile di sempre: una spolverata alla giacchetta ed eccoci pronti per nuove mirabolanti avventure. Novello 007 meneghino.
Il lavoro che non c’è più.
Da recruiter, a questo scenario disarmante posso aggiungere solo che nella città che nulla produce, le banche, assicurazioni e società di consulenza vivono grazie ai territori che ancora hanno una qualche forza produttiva. Nella città degli eventi, delle settimane della qualsiasi, delle fiere che prosperano grazie a un indotto che arriva prevalentemente da fuori Regione e non più disponibile a spendere un capitale per soggiornare, la percezione di decadenza inizia a farsi sentire.
I giornali non sono più così alleati alla narrazione delle città europea perché i miraggi stanno diventando più credibili dei miracoli per troppo tempo propagandati e adesso le Persone iniziano a chiedere il conto e inaspettatamente, la cassa è stata già svuotata.
Per chi come me lavora con le offerte di lavoro, le prospettive per chi ha profili professionali medio-alti sono al lumicino. Chi a 50 anni esce dall’azienda - volente e nolente - si ritrova fuori mercato e con uno stipendio fuori mercato. Non solo perché i tagli del personale operati dal Covid in poi per far tornare i conti nella maniera più becera senza intaccare sui dividendi degli stakeholders hanno dimezzato le opportunità. Ma anche perché le politiche del personale prevedono di “fare con quel che c’è in casa” e dunque il ricambio non prevede sostituzioni né tanto meno la crescita interna.
Si offrono “incarichi di prestigio” e “opportunità di crescita” che significa svolgere anche il lavoro di chi è andato via a parità di prezzo, con un sovraccarico di stress e di malessere che non agevola più nemmeno il turn over perché le Persone sanno che se perdono un posto non è detto che ne trovino un altro.
E allora restano. Bloccate nel recinto del Quiet Quitting che chiunque di noi può riscontrare nell’accesso a servizi pubblici o privati in cui la qualità è scesa a rotta di collo: si dialoga con i bot e spesso ci si ritrova a pagare per clausole e more di cui nemmeno sospettavamo (il ritardo nella riconsegna di un router o della scatola nera dell’assicurazione, il pacco che pesava 2 etti in più di quanto dichiarato, la PA che ha sbagliato conteggio ma che nel dubbio, paghiamo).
E in questo Milano con la sua globalizzazione è la città più cara in assoluto, in cui la beffa di poter avere tutto si scontra con l’impossibilità di non poterselo più permettere.
Tutto si può dire, ma credo proprio che "capitale morale" sia di un'ipocrisia incredibile. In questi anni ho trovato comunità meravigliose, pensanti, solidali e resistenti, lontano da questa e altre "smart (???) city, dove con pochi mezzi ma tanta testa e cuore, ho visto persone occuparsi ancora della loro comunità, del loro territorio, dell'umanità. Paradossale che nel tempo del grande e dell'iperconnesso, bello e meraviglia si trovino sempre nel "piccolo"
è come guardarsi allo specchio e scoprirsi vecchi, all'improvviso. un schiaffo in piena faccia.